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“Nessuno spazio per la neutralità”. Ecco perchè la Cina dovrà presto prendere posizione sulla guerra in Ucraina

Pubblicato il 18/03/2022 12:33

di Beatrice Nencha
Da qualsiasi parte si schiererà Pechino, in questo conflitto ucraino combattuto sia sul campo che “per procura”, è facile prevedere che non potrà rimanere ancora a lungo in una posizione equidistante e neutrale. E’ noto che il Patto delle Olimpiadi, stipulato tra Vladimir Putin e Xi Jinping lo scorso 4 febbraio, è servito a delineare una dottrina di “mutuo soccorso” tra le due superpotenze, in chiave di reciproco appoggio e contro le “ingerenze esterne”. Se l’America e alcuni Paesi europei, tra cui la Germania e la Francia, non hanno ancora spinto fino in fondo il pedale sul conflitto, probabilmente è perché stanno ancora valutando le possibili (contro)mosse della Cina. L’ombra del gigante asiatico, difficile da condizionare mediaticamente da parte dell’Occidente, è un deterrente tanto efficace quanto insidioso. A meno di non voler pensare che, in un mondo globalizzato con impresso quasi ovunque il marchio “made in China”, si possano chiudere i rubinetti al Dragone con la stessa facilità con cui si sono sequestrati gli yacht degli oligarchi russi e chiusi i circuiti internazionali di banche e aziende legate a Mosca. (Continua dopo la foto)

Se qualcuno a Washington ha provato a intimorire Pechino facendo balenare lo spettro di ritorsioni in caso di appoggio alla Federazione Russa, non sembra che le pressioni abbiano prodotto, sin qui almeno, alcuna significativa marcia indietro o pubblica aburia da parte del Dragone. Basta sfogliare i più recenti numeri della rivista internazionale China Daily. Se a ridosso dell’invasione di Putin, con il mondo occidentale in fiamme, l’articolo principale sul conflitto titolava “Ucraina un mero pretesto per gli Stati Uniti”, con catenaccio “Washington usa falsi argomenti per esercitare il suo controllo e l’influenza sulla Nato in Europa”, nel numero successivo, relativo alla settimana 11-17 Marzo, a colpire è l’editoriale di spalla in prima pagina firmato da Francis A. Boyle, avvocato per i diritti umani e professore di Diritto internazionale all’Università dell’Illinois- College of Law. Sin dal titolo, il pezzo è tranchant: “L’espansione della Nato ha spinto la Russia all’azione”. Una frase che, se pronunciata oggi da un qualsiasi intellettuale americano o europeo, porterebbe dritti alla censura social se non all’accusa pubblica di tradimento. Questo l’incipit: “La Russia e L’Ucraina sono impegnate in un feroce conflitto militare, di cui il mondo segue i più minuziosi dettagli della tragedia ucraina. La disinformazione è stata diffusa ogni volta grazie all’informazione di guerra iniziata da varie parti. I media e i politici americani hanno fatto in modo che l’occidente condannasse la Russia, affermando che le sue azioni hanno violato i trattati internazionali. Ma noi dobbiamo guardare alle attuali circostanze del caso. Date le numerose illegali invasioni di altre nazioni da parte degli Usa, specialmente la sua invasione dell’Iraq basata su bugie avallate dall’Amministrazione e dalle istituzioni, l’America non è nella posizione di dare lezioni ad altri Paesi su come proteggere i diritti umani o rispettare il diritto internazionale”. L’articolo punta il dito contro “la corsa per espandere la Nato, che pone una seria minaccia alla Russia”. Il suo ingresso, infatti, porterebbe facilmente Kiev “ad acquisire armi nucleari e supporto militare dall’Alleanza atlantica”, con un effettivo “ribaltamento del Memorandum di Budapest del 1994 che facilitò l’accesso dell’Ucraina al Trattato di non proliferazione di armi nucleari come stato non nuclearizzato”. Nessun leader russo, continua Boyle,”avrebbe accettato l’incessante espansione a est della Nato. Immaginate cosa farebbero gli Stati Uniti se il Messico fosse disposto a unirsi a un’alleanza militare guidata da una potenza rivale, con l’intento di acquisire armi nucleari”. L’articolo continua all’interno con un catenaccio che è un invito quasi perentorio: “Biden deve convocare una conferenza di pace internazionale per stabilire la neutralità permanente dell’Ucraina”. (Continua dopo la foto)

Se ancora si nutrisse qualche dubbio su quale sia l’atteggiamento della Repubblica Popolare cinese davanti al conflitto, basta girare due pagine per trovare il documento, un vero e proprio atto di accusa, che occupa l’intera pagina 20 e 21 del giornale: “Il Rapporto sulle violazioni dei diritti umani negli Stati Uniti nel 2021” edito dall’Ufficio di Informazione del Consiglio di Stato cinese. La quantità di accuse dettagliate, tutte da dimostrare nei fatti, vanno dall’incitamento alla discrimininazione etnica e all’odio razziale, in particolare verso gli asiatici, gli indiani e i musulmani durante la pandemia; all’aver creato una crisi migratoria da usare contro l’umanità, separando i bambini migranti dalle loro famiglie e praticando una varietà di abusi (incluso lo sfrutamento del lavoro e il traffico di esseri umani) sui richiedenti asilo e i rifugiati, fino all’imputazione di usare la forza e le sanzioni per violare i diritti umani in altri Stati (con un focus sul disastro lasciato in Afghanistan dopo il ritiro Usa e sui trascorsi dell’America in Vietnam). Fonti citate dal Rapporto sono, in prevalenza, le stesse testate americane (Associated Press, Usa Today, CNN, NYT, etc) ma anche The Guardian, fonti istituzionali del governo Usa come il Dipartimento degli Affari esteri e quello della Polizia di New York. Inoltre, quello che Pechino pare chiedere a gran voce, sfogliando la sua stampa, è “una nuova Bretton Woods”, in cui “l’esistente sistema multilaterale deve subire un reset, con la Cina come giocatrore essenziale”. Nei giorni scorsi, sono stati proprio alcuni analisti americani a chiedersi cosa potrebbe accadere se, in uno scenario di guerra, alcuni attori internazionali smettessero di comprare il debito pubblico americano. E cosa potrebbe accadere, in termine di benessere per la popolazione Usa, se il commercio dei barali di petrolio sauditi smettesse improvvisamente di essere vincolato allo standard del dollaro (ovvero ai petrodollari) e assumesse, a nuovo standard un’altra valuta, per esempio lo yuan. Scenari ipotetici che, in un contesto dove stanno saltando le regole del diritto internazionale e anche le certezze del Vecchio Ordine Mondiale, divengono fattori di rischio imponderabili per il futuro. Tutte le parti belligeranti dovranno tenere in conto anche queste opzioni. Emergenti “danni collaterali” che sono il frutto di guerre non convenzionali dominate dalla corsa al possesso di armi biochimiche, dispositivi di cybersicurezza e dall’egemonia sui mercati delle risorse energetiche e delle materie prime.