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Mose, uno spreco di Stato: tra errori e malafede, un’opera (carissima) mai servita a niente

Pubblicato il 14/11/2019 10:23 - Aggiornato il 14/11/2019 16:49

Fa rabbia, parlare di Mose. Raccontare, proprio nelle ore in cui Venezia si scopre allagata e costretta a una sanguinosa conta dei danni, di uno spreco tutto italiano, dell’ennesima occasione persa nel silenzio e che torna di stretta attualità solo quando è troppo tardi. Un progetto di paratie mobili alle tre bocche di porto della laguna del quale si parla da tantissimo tempo, addirittura dall’alluvione del ’66, che è stato discusso e studiato a lungo negli anni Novanta e che ha preso ufficialmente il via col secondo governo Berlusconi, quello del 2003.

La storia di quel sistema di dighe mobili elettromeccaniche che dovrebbero alzarsi a fermare le alluvioni è il più classico dei racconti nostrani: i costi lievitati in maniera esponenziale, schizzando dagli 1,6 miliardi previsti inizialmente fino a 6, l’affidamento al Consorzio Venezia Nuova avvenuto senza nessuna gara pubblica, attraverso lo strumento della Legge Obiettivo del 2001, due anni prima che Berlusconi posasse la prima pietra.

E poi gli scandali, le accuse, la corruzione. Nel 2013 i primi arresti, dopo anni di indagini nate da una verifica fiscale effettuata su una delle aziende impegnate nella costruzione del Mose. Uno scandalo che vide finire ai domiciliari anche l’allora sindaco Giorgio Orsoni e che si è chiuso, sempre in maniera molto italiana, con la sentenza in primo grado arrivata lo scorso settembre che ha visto la condanna dell’ex ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli (con tanto di interdizione dai pubblici uffici per 5 anni) e di alcuni imprenditori.

Un vortice di ritardi, spese e malaffare che ha portato risultati grotteschi: le cerniere che servirebbero ad alzare le paratie del Mose erano nel frattempo arrugginite, tanto da rendere necessaria una gara d’appalto da 34 milioni. Il tutto mentre l’Unione Europea apriva una procedura d’infrazione proprio per la mancanza di un bando e il Provveditorato lanciava l’allarme per l’uso di materiale scadente nella realizzazione dell’opera e per l’assenza di un piano complessivo di manutenzione. Una follia pagata a carissimo prezzo. Dagli italiani, ai quali è costata ben 7 miliardi di euro. E dai veneziani nello specifico, che oggi si trovano a piangere una tragedia figlia di sprechi, errori e malafede.

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