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La macchina del green ha un buco nella gomma

Pubblicato il 17/04/2024 10:58

Succede che se Tesla è costretta a licenziare 14mila dipendenti, allora a Bruxelles dovrebbero iniziare a pensare che abbiamo un problema bello grosso. Perché Musk dice di essere costretto a un così massiccio provvedimento di tagli su un progetto industriale che lo aveva fatto conoscere ai più? Semplice, perché la curva delle vendite si è inceppata e con essa anche in Borsa il titolo aveva cominciato a soffrire. Mica solo per lui, sia chiaro: in Europa e in Italia, nonostante gli incentivi, l’auto solo “a ricarica” non convince.

Allo scorso salone dell’auto di Shangai le avvisaglie c’erano tutte perchè anche a Bruxelles aprissero gli occhi: i tedeschi non erano più – come negli anni passati – l’oggetto del desiderio. Stava accadendo che i produttori cinesi sfornavano macchine di altissima qualità, tecnologicamente all’avanguardia e alcune in linea con il nuovo paradigma verde; con la differenza che in Cina nessun governo ha ordinato di comprare una macchina elettrica. In Europa, invece, il fanatismo ideologico è arrivato a farsi “norma” agitando la bandiera dell’ecosostenibilità: basta auto con il motore termico e sotto con la produzione di auto elettriche. A che costo? Enorme. Intanto per il settore industriale costretto non solo a rincorrere la produzione asiatica e cinese laddove il costo di manodopera e materie prima è già altamente a loro vantaggio, ma anche perché sulla batteria la porta cui bussare è la loro. Poi per i cittadini, costretti a rincorrere le decisioni dei politici di Bruxelles e pure di qualche sindaco avvezzo a segmentare le città con aree A e B, con Ztl o con limiti di velocità a 30 km/h.

In Cina, dicevamo, le auto elettriche non sono obbligatorie; chi vuole se le prende altrimenti la produzione delle vecchie auto prosegue. Va detto che l’auto elettrica sta ben performando perché hanno grazia nel design, sono tecnologicamente all’avanguardia e soprattutto le colonnine di ricarica non sono un problema. Anzi, su alcuni modelli della Byd (la casa automobilistica cinese che più sta facendo male a Tesla) l’azienda fornisce un servizio velocissimo di sostituzione della batteria invece della sua ricarica. Questo lo puoi fare se sei monopolista nel settore delle batterie e sei in sovrapproduzione (aspetto che rischia di farci dipendere dall’economia cinese).

In Italia le auto elettriche stentano parecchio a decollare; fuori dai nostri confini l’entusiasmo è finito. I motivi della diffidenza sono diversi, tra questi sicuramente un fatto culturale di identità con un mondo (quello dei motori termici) che ha parlato e parla tuttora italiano; poi c’è una questione di costi, ma soprattutto c’è il limite della gestione delle batterie. Per quanto la comunicazione spinga sull’aumento della copertura delle colonnine a ricarica veloce, è ancora prevalente l’idea di dover essere noi a dipendere dalla macchina e non viceversa. Non è un caso che persino le società di autonoleggio abbiano rallentato con gli ordini, anzi stanno alleggerendo il parco macchine con svendite di vetture nuove.
L’Europa avrebbe dovuto lasciare che la transizione rimanesse nelle regole del mercato, a maggior ragione se – come dicono – la scelta green è più vantaggiosa e fa risparmiare. Ha preferito la linea talebana, contro la tendenza della domanda. Tant’è che il guru della macchina elettrica, Elon Musk, è costretto a rivedere la forza lavoro del suo gioiellino Tesla.

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