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Pnrr, la grande menzogna. Ecco dove andranno davvero a finire i soldi dell’Europa

Pubblicato il 16/07/2022 09:22

Giusto un paio di giorni fa il senatore e leader di ItalExit Gianluigi Paragone chiedeva a squarciagola al governo dove dovrebbero andare a finire i soldi del famigerato Pnrr. Nessuna risposta, anche perché tra la guerra, l’inflazione, l’emergenza siccità e soprattutto le dimissioni presentate e respinte, Draghi del Pnrr se ne sta occupando sempre meno. E pensare che uno dei mantra era proprio quello che gli si stava affidando la presidenza del Consiglio proprio per gestire quei miliardi. Insomma, il governo tace. E così è utile riprendere un approfondimento di Alessandro Gilioli su Tpi che spiega come stanno le cose dietro la dichiarazione autocompiaciuta con cui il governo ha annunciato che “l’Italia ha raggiunto tutti i 45 obiettivi relativi al primo semestre 2022”, scaduto il 30 giugno scorso. Decine di progetti sono dunque partiti o quanto meno sono stati approvati dall’Unione europea? Macché. la realtà è un’altra. (Continua a leggere dopo la foto)

Si legge su Tpi: “Più semplicemente, a fine giugno il governo ha spedito a Bruxelles alcune delle sue proposte, basate su accordi tra ministeri ed enti locali. Tecnicamente, questo passaggio è un ‘milestone’, cioè una pietra miliare del percorso, e non un ‘target”, cioè un obiettivo quantitativo. Non è una differenza da poco: i ‘milestone’ sono i momenti di passaggio, i ‘target’ sono i punti di arrivo. Parlare di ‘obiettivi raggiunti’ nel caso dei ‘milestone’ è quindi sbagliato. E quello di fine giugno, in particolare, è solo un report di autovalutazione e di impegni, non un’approvazione di Bruxelles. È un po’ come se uno studente dicesse al professore: ‘Sì, sono pronto per fare l’esame’, ma non l’ha ancora fatto. E questo esame consisterà nell’approvazione del report o nella sua eventuale bocciatura o ancora (più probabilmente) in una via di mezzo, cioè la richiesta più o meno robusta di correzioni”. (Continua a leggere dopo la foto)

Detto questo, andiamo a vedere quali sono le grandi criticità che riguardano il Pnrr di Draghi: “La prima consiste nel fatto che noi cittadini italiani non sappiamo cosa prevede concretamente questo report appena spedito a Bruxelles. Perché? La risposta è semplice. C’è un portale online che si chiama ‘Italia domani’, curato della Ragioneria generale e firmato da Palazzo Chigi, che per legge (la n.178 del 2021) doveva garantire la trasparenza; ma questa piattaforma è ancora piena di buchi, di informazioni a metà o del tutto mancanti. Come mai? Questo invece è ancora un mistero. L’unica cosa che si sa è che il sito OpenPolis ha dovuto far ricorso alla legge sulla trasparenza degli atti della Pubblica amministrazione (il Foia), ottenendo pochi giorni dopo una circolare del Mef nella quale in sostanza si ammettono i ritardi ma si assicura che entro fine luglio la piattaforma sarà sistemata e completa. Nel frattempo, e sperando che a fine luglio sia veramente così, resta il fatto che il report del primo semestre 2022 è arrivato all’Ue senza che i media e i cittadini potessero sapere granché di quello c’è dentro”. (Continua a leggere dopo la foto)

“A esempio, è buio fitto sulle gare (quali sono state avviate? Quali sono state già aggiudicate? E a chi? E i finanziamenti sono stati già elargiti? E, in caso, a chi?). Fin qui, come stanno le cose al momento. Ma la vera sfida è quella che aspetta l’Italia nei prossimi 18 mesi, il secondo semestre del 2022 e soprattutto il 2023, che sarà un anno cruciale. Entro il 31 dicembre dobbiamo spedire a Bruxelles un altro report, con altri 35 ‘milestone’ e, questa volta, anche 16 ‘target’. Che diventeranno 53 entro la fine del 2023, mentre i ‘milestone’ saliranno a 43. E su questo i tecnici del Mef ammettono che ‘si tratta di questioni sostanziali su cui c’è ancora un alto grado di incertezza’, insomma siamo in alto mare”. L’altro grande dubbio è sull’effettiva capacità dello Stato (e delle aziende che vinceranno le gare) di spendere i soldi così come richiedono le condizioni imposte dall’Ue. “A esempio: il 20 per cento dei fondi riservati al nostro Paese deve essere investito nella transizione digitale, ma in Italia non ci sono abbastanza addetti specializzati perché questo obiettivo possa essere raggiunto. Lo stesso rischio esiste per i fondi destinati alla transizione ecologica. Ma ancora più preoccupante è la questione dell’edilizia, che dovrebbe assorbire un terzo dei fondi”.

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