di Thomas Fazi.
I prestiti del Recovery Fund «se non compensati da riduzioni di altre spese o aumenti delle entrate, contribuiranno ad accrescere il deficit e l’accumulazione di debito». Lo si legge nelle linee guida del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) inviate al Parlamento. Per questo, viene spiegato, «al PNNR dovrà pertanto affiancarsi una programmazione di bilancio volta a riequilibrare la finanza nel medio termine dopo la forte espansione del deficit».
Insomma, come avevamo anticipato, i fondi del Recovery Fund non andranno a pesare solo sul debito ma anche sul deficit. La trappola sta tutta qui: da un lato si chiederà all’Italia di continuare a tagliare le spese (e dunque di ridurre l’entità della spesa pubblica sotto il proprio controllo) e/o aumentare le tasse per finanziare il nostro avanzo primario e lo stesso Recovery Fund (di cui siamo anche contribuenti), mentre dall’altro ogni nuova spesa verrà a dipendere dal Recovery Fund e quindi “passerà” per Bruxelles. Insomma, più soldi prenderemo dall’Europa – che a sua volta deciderà come dobbiamo spenderli –, più saremo costretti a tagliare la spesa pubblica.
Questa è la vera polpetta avvelenata del Recovery Fund: l’usurpazione definitiva di quel minimo di autonomia di bilancio – e dunque di democrazia – che ci era rimasta. Finalmente, a colpi di crisi e di emergenze (spesso e volentieri costruite a tavolino), le élite nordeuropee sono riuscite ad ottenere, con la complicità di una classe dirigente italiana venduta e pusillanime, quello che vanno agognando da sempre: un controllo politico pressoché totale della politica economica dei paesi mediterranei.