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In questa Europa il popolo non conta

Pubblicato il 21/04/2024 13:58

I rapporti, documenti, le solite buone intenzioni per far crescere l’Europa È l’intenzione di Mario Draghi; è l’intenzione di Enrico Letta; ed in ultimo è l’intenzione di Alfred Kammer, direttore del dipartimento europeo del Fondo Monetario Internazionale, il quale si è premurato (bontà sua) di ricordare al governo che le regole sono sempre le stesse e che «occorre ricreare i buffer fiscali esauriti durante pandemia e crisi energetica. Ciò significa ridurre il debito e garantirne la sostenibilità in modo da avere spazio per rispondere in caso di shock». Per non farsi mancare nulla l’emissario europeo del Fmi raccomanda alla maggioranza di «ratificare il Mes, perché è una parte importante della riforma della architettura finanziaria europea».

Oibò. Da una settimana sentiamo parlare di mercati, di privatizzazioni che «sono una buona cosa da fare perché migliorano la gestione delle aziende, aumentano l’efficienza, hanno un impatto sulla crescita e aiutano la competitività», dice Kammer ricalcando sostanzialmente la rotta di Letta e di Draghi. «È il mercato, bellezza» verrebbe da dire. Se non fosse che si scrive mercato e si legge Europa, anzi quella nuova Europa che vogliono costruire per essere competitivi rispetto all’America, alla Cina e ai nuovi player che nella globalizzazione si muovono meglio. O almeno così scrivono nel loro paperi due ex premier italiani in forza alla Commissione europea nel ruolo di consulenti. La cosa incredibile è che tutto questo «elogio dei mercati» e delle sue regole accade alla vigilia delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, cioè dell’unico, misero, appuntamento democratico di cui la tanto strombazzata
Europa dispone.

Paradossale no? A fronte di «più Europa» l’Europa di fatto fa corrispondere «meno democrazia»: il popolo non conta, contano i mercati, quei mercati che creano squilibri che poi si riversano sui popoli, sull’economia reale. La verità è che l’Europa non scalda, non si sente parte di una comunità della quale non si avverte identità ma solo sacrifici in nome di un interesse superiore.

Ho letto con attenzione le anticipazioni sui paper di Draghi e di Letta (compresa l’intervista dell’altro giorno al Corriere) così come ho letto l’intervista dell’emissario in Europa del Fondo Monetario Internazionale e trovo una aderenza perfetta, una sovrapposizione pedagogica neoliberista: le privatizzazioni, il debito prima di tutto (siamo ancora lì…), le grandi sfide dove ci guadagnano pochi soggetti.

Addirittura siamo tornati ai «consigli» del Fmi su cosa debba votare il parlamento: i rappresentanti del popolo sovrano liberamente hanno respinto la ratifica del Mes, il Fondo monetario internazionale non si può minimamente permettere di «avvertire» i governi. A giugno si voterà per il Parlamento europeo, uno degli organismi che conta di meno di quelli previsti dal trattato di Lisbona. Chissà se almeno le apparenze saranno salve o se da qui a quel voto arriveranno altri strani avvertimenti.