x

x

Vai al contenuto

Green pass, non spetta ai gestori la verifica dell’identità. Chi dice il contrario disinforma e diffonde bufale

Pubblicato il 10/08/2021 17:04 - Aggiornato il 10/08/2021 19:34

Il sito OPEN, il giornale on line fondato da Enrico Mentana, attacca il Vademecum elaborato dal gruppo Avvocati Ultima Linea e lanciato sui social da Gianluigi Paragone. Una medaglia al valore sia ben chiaro. L’interessamento di OPEN al documento, oltre a tradire l’attenzione dei media mainstream verso il carismatico leader di Italexit, ci rende ancor più consapevoli di aver imboccato la strada giusta, viste anche le centinaia di migliaia di visualizzazioni del documento.

Va da sè che Open spaccia le opinioni politiche del suo editore per fact-checking, auto-referenziandosi come censore di ciò che è vero e di ciò che è falso, ma basta andare appena oltre il titolo per rendersi conto di come in realtà il sito spari a salve. La critica, infatti, è incentrata prevalentemente se non esclusivamente sul fatto che immediatamente dopo la prima stesura del documento, che non vuole certamente essere, a sua volta, un altro lasciapassare bensì – nella più totale e colpevole confusione da parte delle istituzioni e dei media – un decalogo per informare la gente, è stata pubblicata una seconda versione aggiornata.

Invero l’articolo cela assai malamente la strenua difesa della narrativa che tende a dare legittimità ad una normativa coercitiva che non possiede una ratio logica o giuridica, se è vero come è vero che anche chi è vaccinato, e dunque titolare di Green Pass, può essere contagiato e contagioso.

Ebbene l’autore dell’articolo si sofferma, quasi gongolando, sulla possibilità di richiedere il documento di identità da parte del richiedente il Green pass, come se fosse la cosa più normale del mondo. Facoltà che estenderebbe in capo a soggetti assolutamente non qualificati poteri esclusivi delle forze di polizia. Ciò è tanto vero che persino il Ministro Lamorgese ha prontamente fatto marcia indietro, dichiarando che non spetta a gestori e ristoratori la verifica dell’identità.

Confusione e disinformazione, insomma che i cosiddetti Fact-checking contribuisco a creare anziché dipanare.

L’autore dell’articolo poi contesta la citazione di “quattro articoli della Costituzione italiana, senza citare una presunta incostituzionalità nel manuale”, dimenticando volutamente che un Vademecum non è certo un manuale di diritto. Ma la banalissima spiegazione dispensata con riferimento alle quattro norme citate nel documento, impone un sia pur sintetico richiamo quantomeno con riferimento a due delle fondamentali norme citate.

l’art.32 Costituzione, con riferimento al quale basterebbe solo ripetere quanto scritto dall’autore, ossia che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” (appunto!).

Ma la norma va riportata per intero: “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” (si noti che si parla di “persona umana” e non semplicemente di “cittadino”.

L’ultimo inciso, omesso dall’inconsapevole autore, fu fortemente voluto dall’onorevole Aldo Moro proprio al fine di scongiurare quei trattamenti sanitari (sterilizzazioni, modifiche genetiche etc…) di cui era al tempo ancora viva la memoria, per come sperimentata nei lager nazisti durante la seconda guerra mondiale.

Dell’art. 3 della Costituzione parleremo più avanti.

Laddove invece il redattore manca totalmente il bersaglio è a proposito del Regolamento Europeo. Vero è che nel Vademecum ci si riferisce all’articolo 36, anziché al punto 36 dei “considerata”, ma l’appunto è veramente risibile, sia perché è abbastanza ovvio che la terminologia utilizzata è volutamente semplificata per essere accessibile ad un vasto pubblico, sia perché, in ogni caso non muta la sostanza del contenuto ivi espresso.

Ma giacchè l’autore si è avventurato su un terreno alquanto scivoloso, laddove persino autorevoli esponenti di Magistratura Democratica, da addetti ai lavori, hanno stroncato il Green Pass, non saremo noi certamente ad esimerci dal confronto.

Ed allora vero è che “l’art.36” è in realtà il “punto 36” dei “considerata”, ma scusandoci per l’imprecisione, la stessa è davvero errore veniale rispetto alla circostanza – riconducibile a sbadataggine o mala fede – che un sito autorevole come OPEN – che si auto elegge a fact checking di notizie false – abbia riportato la traduzione incompleta del primo periodo del punto 36, così come era stata pubblicata in un primo momento, e che ha richiesto persino una correzione sulla Gazzetta Ufficiale. Fornendo in pratica una notizia falsa!

Almeno per questa volte allora concedeteci la patente di fact-checking di fact-checking.

Le versione fornita da OPEN infatti – censore di false notizie – manca dell’ultimo inciso del primo periodo del punto 36, quello fondamentale.

Riportiamolo nella versione corretta, dunque, a favore dell’autore del sagace articolo: “E’ necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti COVID-19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate ).

Confrontandolo con l’articolo del simpatico censore, si noterà facilmente come, guarda caso, sia stato omesso proprio l’ultimo inciso, ossia quello che di fatto sancisce e consacra la libertà di scelta. Una dimenticanza un tantino sospetta per chi si erge a candida fonte di verità.

Del resto è lo stesso Decreto Legge 105/2021 che stabilisce all’art. 4, comma 2, lettera e), punto 2, che “Le disposizioni dei commi da 1 a 8 continuano ad applicarsi ove compatibili con i regolamenti (UE) 2021/953 e 2021/954 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2021”.

Ed ecco che a questo punto, all’autore dell’articolo, cui evidentemente non è concesso negare persino l’evidenza, non rimane che uscire allo scoperto, affermando che “Di fatto, la vaccinazione non è il requisito preliminare utile per ottenere il Green Pass”. Affermazione che, nella sua incoerenza e ipocrisia, farebbe saltare dalla sedia anche i più sprovveduti.

Cosa significa, infatti, che “la vaccinazione non è il requisito preliminare”? Eccome se lo è! E’ proprio il principale requisito sul quale il Governo e i media allineati (OPEN in prima linea) stanno spingendo come forsennati!

Forse l’incauto autore voleva dire che non è l’unico requisito, poiché accanto ad esso c’è l’essere stati immunizzati per aver contratto il Covid e l’aver fatto un tampone entro le 48 ore prima, ma che non sia quello preliminare principale è una affermazione falsa e ipocrita!

Come falso e ipocrita sostenere che il Decreto Legge che introduce il Green Pass sia coerente con la Costituzione e il Regolamento Europeo e non sia discriminatorio poiché non obbligherebbe di fatto alla vaccinazione.

Tale affermazione è falsa per la semplice ragione che – mettendo da parte chi si è immunizzato (per il quale il Pass sanitario dura 6 mesi dal momento in cui è stata certificata l’avvenuta guarigione) – l’alternativa al vaccino (che ricordiamo è gratuito) è il tampone a pagamento.

Orbene proprio il fatto che il tampone sia a pagamento (e continuerà ad esserlo anche in seguito al nuovo Decreto Legge, che prevede un abbassamento minimo del prezzo, ma non certo la totale gratuità, così come previsto in altri Stati meno disorganizzati, come ad esempio la Germania o la Svizzera) crea una forte discriminazione tra chi ha le possibilità economiche per potersi fare tutti i tamponi che vuole e chi, invece non può farlo.

Una famiglia di medio reddito o, addirittura, monoreddito, composta da quattro persone, si trova ad essere costretta dalla normativa interna sul Green Pass, a fare un tampone per quattro persone, mediamente ogni due giorni, con una spesa che oscilla – applicando il prezzo calmierato previsto dal nuovo Decreto – dalle 690 alle 900 euro mese.

Ciò crea una plateale disparità di trattamento e dunque una evidente diseguaglianza, in palese contrasto con l’articolo 3 della Costituzione.

Dispiace che un sito così attento alle libertà e ai diritti sociali non abbia colto una così grave discriminazione.

AVVOCATI ULTIMA LINEA

[email protected]