Un rapporto dal titolo “Il Caso Congo” che mette nel mirino gli interessi dell’Eni nel Paese africano e, in particolare, due licenze ottenute dall’ente e finite sotto la lente d’ingrandimento della magistratura. Tutti passaggi contenuti nel dossier curato dall’associazione “Re:Common” e che racconta di indagini iniziate addirittura nel 2016 e che vedono la società, il cui azionista di maggioranza è lo Stato italiano, indagata per corruzione internazionale. Nello specifico, Eni avrebbe ceduto quote di giacimenti petroliferi, al fine di ottenere il rinovo delle licenze per produrre petrolio, a una società privata riconducibile al presidente Denis Sassou Nguesso, ex militare al potere nel Paese da decenni: la Aogc.

Il rapporto arriva dopo che, il 10 settembre 2020, la Procura di Milano ha chiesto l’interdizione di Eni per due anni dalla produzione di petrolio nei pozzi di Marine VI e VII in Congo e il commissariamento dell’ente nel Paese africano. Antonio Tricarico di Re:Common, associazione che fa inchieste e campagne contro la corruzione, ha parlato di “un’ombra sull’attuale dirigenza della società che ne mette a rischio la reputazione” e denunciato “l’assordante silenzio del governo italiano e della nuova presidente Lucia Calvosa”.

Nel rapporto si evidenzia come nel 2013 a Eni siano state rinnovate le concessioni di quattro licenze per l’estrazione di petrolio, con la società che nel frattempo cedeva parte di questi giacimento, per quote complessive dell’8-10%, all’Africa Oil and Gas Corporation (Aogc), società che successivamente si sarebbe scoperta legata all’allora presidente del Congo Denis Sassou Nguesso. Due anni più tardi, nel 2015, Eni aveva ottenuto il rinnovo del permesso di esplorazione Secteur Sud per i campi Tchiboula, Tchendo e Tchibeli-Litanzi. Anche in questo caso, però, al rinnovo delle licenze era seguita una diminuzione della quota azionaria in favore sempre di Aogc.

Nel 2014 la testata inglese The Times aveva sollevato il caso, sottolineando come tra i vertici di Aogc ci fossero due pubblici ufficiali congolesi legati a Nguesso. Successivamente, nel 2017, la Guardia di Finanza era intervenuta su mandato dei magistrati milanesi per notificare un avviso di garanzia a Eni per corruzione internazionale in Congo. Secondo l’accusa, in cambio del rinnovo delle licenze petrolifere di Marine VI e Marine VII da parte del governo congolese Eni avrebbe regalato quote di partecipazione in quegli stessi giacimenti ad Aogc. In base allo schema evidenziato dalla Procura, l’accordo prevedeva poi il ritorno di una parte della tangente attraverso la società World Natural Resources, riconducibile secondo i magistrati a “soggetti collegati all’Eni” come Andrea Pulcini (in Eni fino al 2005), Maria Paduano (che avrebbe svolto il ruolo di prestanome per conto dell’ex Chief Development Operations di Eni Roberto Casula) e l’uomo d’affari inglese Alexander Haly.
Haly, in particolare, ha avvicinato l’indagine alla famiglia dell’attuale ad Claudio Descalzi: nel decreto di perquisizione del marzo 2018, il manager era infatti presentato come il più importante del gruppo Petro Services che aveva tra le sue imprese controllate la congolese Petro Services Congo Sarlm, azienda che avrebbe ricevuto dalla filiale locale dell’Eni 104 milioni di dollari in cambio dell’affitto di navi commerciali e della fornitura di servizi di logistica. Secondo l’Espresso, oltre a essere amministratore di Petro Services, Haly era anche socio al 33% di Marie Madeleine Ingoba, moglie di Descalzi. Quest’ultimo ha sempre negato di conoscere gli affari della consorte: i due sono però stati iscritti al registro degli indagati per omessa comunicazione di conflitto di interesse.
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