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DL Concorrenza e Balneari, è in gioco la pace sociale

Pubblicato il 09/11/2021 09:58 - Aggiornato il 17/05/2023 10:48

di Giuseppe Armerocchi

Nel DL Concorrenza avrebbero dovuto essere esclusi i balneari.
Avrebbero.
Vero, le aste non ci sono. Ma c’è qualcosa di peggio.
C’è la neanche tanto celata volontà di metterli alla berlina dell’opinione pubblica
Tutto ciò che in questi anni non ha saputo fare la politica lo farà da una parte il Consiglio di Stato la cui decisione, in assenza di normative da parte del Governo, tanto invocate dai concessionari balneari, fa tremare il comparto e dall’altra l’opinione pubblica.
In un clima instabile, in cui da più parti politiche – le stesse che hanno permesso che nel DL Conncorrenza ci fosse questo – si invoca la via di mezzo, il fair play, il politically correct, un linguaggio tranquillo e posato si permette che sia divulgata al popolo (già i canoni sono pubblici non capiamo cosa si vuol fare oltre) una sola voce di spesa, la stessa tra l’altro che molte associazioni di categoria chiedono di rivedere, mettendo di fatto sul rogo un’intera categoria, alimentando l’odio.

La pandemia ha peggiorato il modo di essere di tutti noi e invece di cercare la pace sociale il Governo che fa? Cerca di portare odio verso una categoria solo con l’unico intento di far pensare che le aste siano giuste.
Allora perché – ci chiediamo – lo Stato non aumenta i canoni?
Parliamoci chiaro se io affitto un appartamento è il proprietario che fissa il canone non viceversa.
È evidente, lo capirebbe anche un bambino, che al fine di giustificare le aste il canone viene presentato come unico strumento di valutazione del rapporto tra lo Stato e l’impresa.

La verità è che i canoni – determinati da organi di Stato e non dai balneari – sono realmente esigui, ma sono solo una voce, la più piccola, degli oneri che si sostengono obbligatoriamente per acquisire e conservare la titolarità di una concessione demaniale. Le prestazioni in natura, imposte dalle ordinanze e dai fatti, integrano il canone fino a livelli esponenziali.

Parliamo di parametri essenziali, quali la dimensione del fronte mare e l’area della superficie demaniale complessivamente
concessa, nonché della precisazione, che in molti casi, che si tratta di spiagge spoglie, prive di qualsiasi struttura fissa, nelle quali gli impianti – spesso perfino quelli fognari – sono stati realizzati e sono mantenuti a cura e spese del concessionario. Il concetto fondamentale che si vuole divulgare con la pubblicazione del canone è che gli stabilimenti balneari pagano cifre irrisorie come contropartita dell’utilizzo del bene demaniale. Questo è vero per la specifica voce “canone demaniale”, ma trascura il fatto che esistono altri innumerevoli elementi di costo indissolubilmente legati all’esercizio della concessione balneare. Senza di questi la concessione non può essere attivata. Ci riferiamo all’obbligo di sorveglianza alla balneazione con le rigide modalità regolamentate, unico caso al mondo, perché dalle altre parti è demandata allo stato; alle mansioni obbligatorie del primo soccorso; alla pulizia estiva e invernale degli arenili. E inoltre – considerata la funzione di vero e proprio presidio esercitata nel contesto litoraneo dallo stabilimento balneare e alla conseguente esigenza di esistere fisicamente in loco – ci riferiamo anche alla necessità di ricostruire e smontare, in alcune regioni, anno dopo anno, le strutture mobili dello stabilimento, lavorando per mesi senza incassare un centesimo e pagando salari, contributi, interventi di terzi per movimentazione sabbia e altro, nonché agli indispensabili oneri di magazzinaggio delle attrezzature. Infine consideriamo gli aspetti fiscali: IVA applicata con un’aliquota che non ha riscontro nei settori, del tutto analoghi, della ricezione e della ristorazione; IMU, vera e propria anomalia di sistema, trattandosi di beni non di proprietà; Imposta regionale sul canone demaniale, tributo medievale, se si considera che è imputato ad un “bene comune” sull’utilizzo del quale il concessionario paga uno specifico canone, la cui entità è stabilita da organi tecnico-finanziari dello Stato. Prestazioni tutte obbligatorie, quelle menzionate, le quali, indipendentemente dalle valutazioni che se ne possono dare, comportano un cospicuo aumento degli oneri legati all’utilizzo turistico ricreativo del bene demaniale.
Ma la cosa che fa più paura è che sia il Governo a mettere una singola categoria al rogo, come le streghe nei tempi bui del Medioevo dove non esistevano diritti.
Con questo atto il Governo non cerca la pace sociale, anzi cerca lo scontro e questa è la lettura più brutta che deriva di questo DL Concorrenza. Un “whatever it takes” che potrebbe avere brutte sorprese anche legate all’ordine e alla pace sociale, alla sicurezza di 30 mila famiglie italiane, che non possono permettersi la scorta.

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