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“Covid usato per imporci il Green”. Lo studio scientifico che accende una nuova luce sulla pandemia

Pubblicato il 12/08/2022 17:09

Stai a vedere che i complottisti avevano ragione: stanno utilizzando il Covid per mandarci al verde. In tutti i sensi. Nel Pnrr, infatti, il capitolo dedicato alla transizione ecologica registra ben 71 miliardi: un terzo del pacchetto completo. Per intenderci: alla sanità, del fondo pensato per superare la crisi Covid, ne andranno soltanto 15,63, più altri 5 circa, tra Piano complementare e React Eu. Dunque, attraverso questa spartizione pesantemente sbilanciata, ci raccontano che dobbiamo cambiare i nostri stili di vita, pena il collasso dell’intera civiltà nel 2050 a causa del cambiamento climatico. Ce lo chiede l’Europa, ce lo chiedono le giovani generazioni, Greta Thunberg e ce lo chiede persino il Papa. Ma benché a pensar male si faccia peccato, è altrettanto vero che spesso ci si azzecca.
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Lo studio che certifica l’uso programmato della paura

Sorge quindi spontanea una domanda: non c’è il rischio che, per rifilarci la svolta green, sfruttino la pandemia? Visto che il meccanismo dell’emergenza ha reso così docili e obbedienti le popolazioni, saranno mica tentati di impiegarlo anche per costringerci a ingurgitare il boccone ecologico, indigesto soprattutto alle classi lavoratrici? Una sorprendente conferma di quanto sia funzionale attingere al repertorio pandemico, per avallare le politiche ambientaliste, arriva da uno studio appena pubblicato su Environmental science & policy, riportato e spiegato sull’edizione odierna de La Verità. Gli autori, infatti, mettono nero su bianco la tesi che i sedicenti competenti, sghignazzando, attribuivano ai paranoici teorici della cospirazione: «Il Covid-19 e altre future crisi possono offrire una promettente opportunità ai governi europei per accelerare i loro sforzi nella protezione climatica, in termini di legittimazione sociale». Ma vediamo nello specifico di che si tratta.
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La paura rafforza le convinzioni

Fin dal titolo dell’articolo, la tesi appare più che solare: «La paura del Covid-19 rafforza le convinzioni sul cambiamento climatico». I ricercatori ungheresi si sono basati su un sondaggione dell’autunno 2020, condotto nei 27 Paesi dell’Ue e nel Regno Unito. Le risposte dei cittadini, intervistati telefonicamente, mostrano che «profonde preoccupazioni per il Covid-19 sono fortemente associate a serie inquietudini riguardo il cambiamento climatico». A tal proposito, due dettagli assumono un’importante rilevanza per meglio comprendere la situazione.
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L’utilizzo della paura per manipolare le menti

Innanzitutto queste ansie per le sorti del pianeta sono risultate superiori «nei Paesi in cui la pandemia ha condizionato più severamente la vita delle persone». Si tratta degli Stati con un elevato «stringency index», l’indicatore che misura la durezza delle restrizioni antivirus. Vuol dire che più divieti sono stati introdotti, più la gente sembra essersi convinta che la Terra è in pericolo. Addirittura, lockdown e altri provvedimenti influenzano le idee sull’ambiente maggiormente «dei dati sulle infezioni o la mortalità». Ciò significa che conta di più l’allarme percepito dell’allarme reale. Una cosa che avevamo ben compreso negli ultimi due anni. La differenza la fa la narrazione. Un metodo di governo basato sulle emergenze sarà dunque il futuro e in tal modo si potranno far accettare tutti gli sconvolgimenti voluti e calati dall’alto. Per piegare la resistenza degli individui ai mutamenti epocali, bisogna creare un
clima apocalittico. Esattamente ciò che è stato sapientemente fatto con il Covid.
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Riforme radicali ed immediate per cogliere impreparati

Per fare tutto questo, bisogna attuare riforme radicali in tempi brevissimi. Per fare un esempio pratico, l’Europa sopprimerà i motori a combustione già dal 2035, mentre, in Olanda, gli allevatori vengono costretti ad abbattere migliaia di capi di bestiame, perché inquinano. In Nuova Zelanda erano stati fin troppo cauti: si erano limitati a multare rutti e peti delle vacche, ma la moderazione e la gradualità, però, non premiano: la mente collettiva si controlla meglio con choc e sgomento. Secondo particolare rilevante: «Le preoccupazioni sul Covid-19», si legge nel paper, «hanno un impatto più considerevole su quelle per il cambiamento climatico tra gli individui con più elevato “scetticismo d’attribuzione” […], minor convinzione nell’impatto negativo del cambiamento climatico […] e un più basso livello d’istruzione». Lo «scetticismo d’attribuzione» non è altro che l’incredulità nei confronti del ruolo umano nelle alterazioni del clima. Dunque, se aumenta la paura del virus, è probabile che pure quei dubbi sulla dottrina ambientalista vengano erosi. Ed è più facile far scalfire le convinzioni di chi sottovaluta la minaccia ecologica, specialmente i meno istruiti.
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La preoccupazione può accrescere le paure di altri pericoli

In definitiva, abbiamo la prova scientifica di quello che molti di noi già sospettavano: approfittare del coronavirus per velocizzare grandi transizioni programmate da anni, ma democraticamente invendibili. Ormai questo modus operandi costituisce un vero e proprio consiglio strategico, rivolto dagli esperti ai governi. Ma c’è di più. La ricerca ungherese dimostra che le emergenze non seguono la logica del chiodo scaccia chiodo: quando ne affiora una, la precedente non viene soppiantata. Il «bacino di preoccupazione», come lo chiamano quelli bravi, è potenzialmente infinito: «Un aumento nella preoccupazione per una minaccia può accrescere le paure di altri pericoli». Insomma, governare attraverso la paura sembra essere le nuova chiave di volta per il potere e tutti noi, se ci pensiamo un attimo, possiamo osservare come lo stiano facendo in modo tutt’altro che improvvisato.

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