Il Green Pass era stato presentato agli italiani come uno “strumento di libertà” che doveva garantire a tutti la sicurezza di trovarsi in un ambiente protetto. L’esperienza ci ha insegnato – come alcuni avevano ampiamente previsto – che il Green Pass è stato totalmente inutile a livello sanitario, e l’unica cosa che ha fatto veramente è stata discriminare senza alcuna logica scientifica milioni di persone. Anzi, milioni di clienti mancati proprio per bar e ristoranti, in particolar modo, che da quando il QR code “rafforzato” è stato richiesto anche al bancone e per il servizio ai tavoli all’aperto sono letteralmente spariti dalla circolazione (con i loro soldi).
“Non credevo ci fossero tanti non vaccinati” è una delle frasi più ripetute sui blog e nei gruppi di settore, in cui all’inizio di quest’anno imperversava il panico per l’ennesima crisi economica dopo le “botte” del 2020- 2021. E forse non è ancora finita, nemmeno ora che il Green Pass è stato riposto momentaneamente in soffitta, almeno per le attività commerciali in ambito ristorativo.
Il motivo è molto semplice.
Dopo mesi di lockdown in cui pochissimi hanno avuto la capacità di adattarsi ad un sistema di delivery indipendente dalle grandi piattaforme e profittevole; dopo gli investimenti per riadattare i gli spazi interni dei locali tra plexiglass e drammatiche riduzioni dei posti a sedere; dopo l’inflazione galoppante che ha portato ad aumenti sconcertanti di bollette e materie prime; dopo i mancati ristori in linea con quello che succedeva nel resto del mondo, dove c’era chi addirittura ha ottenuto di più con gli aiuti di Stato che quando poteva lavorare a pieno regime; dopo l’ennesimo taglio forzato di clientela in nome del Green Pass, adesso si torna ad una pseudo normalità con un bagaglio di incassi mancati e debiti che faranno fallire moltissime attività. Molte di più di quelle che hanno già consegnato i libri in tribunale.
A guardare tutto quello che è stato fatto e deciso durante la gestione degli ultimi anni, sembra quasi che ci sia la volontà del Governo di attaccare da ogni angolo possibile le micro, le piccole e le medie imprese. Ma addossare colpe a questo o a quello adesso non serve a nulla. L’unica cosa che conta davvero per i ristoratori e i piccoli imprenditori italiani (per piccoli intendiamo fatturati annui al di sotto dei 2 milioni di euro) è capire come uscire da questa situazione critica.
Il problema ha origini che vanno ben oltre il Marzo del 2020 ed è legato al modo di fare impresa tipico degli italiani: la gestione familiare. Essere marito, moglie, fratelli, sorelle e figli a lavorare nel bar o nel ristorante di famiglia non è un problema insormontabile di per sé, anche se complica enormemente i rapporti di lavoro; al contrario, l’assenza di competenze imprenditoriali e quindi di la mancanza di strategie e tattiche che aiutino ad aumentare le vendite e i margini di guadagno, sono il motivo per cui, statistiche alla mano, in Italia il 50% delle nuove aperture nel ramo della ristorazione fallisce entro 3 anni. E il 95% entro i 10 anni.
Quando ci si apre un bar o un ristorante abbiamo chiarissima la necessità di servire ottime bevande e piatti memorabili, per cui si seguono corsi su corsi e ci si affida a professionisti con le capacità necessarie, ma quando si tratta di vendita al banco o al tavolo, di marketing pubblicitario, di gestione dei dipendenti e gestione finanziaria, si brancola nel buio. A nessuno, tranne poche e rarissime eccezioni, viene in mente di formarsi in questi ambiti indispensabili per portare nuovi clienti nel proprio locale, farli tornare più spesso, aumentare i margini sul venduto, gestire il magazzino in modo da non appesantire il flusso di cassa o finire in rosso in banca aumentando gli interessi da pagare… Basta che lo Spritz o la Carbonara siano buoni e il cliente soddisfatto!
Ma questo discorso poteva andar bene negli anni ’50, quando la concorrenza era minima e vivevamo in un’epoca di grande ripresa e ricchezza. L’Italia di allora non esiste più, i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sono sempre più poveri, e in più in qualsiasi strada ogni 50 metri c’è un bar che ci fa la guerra abbassando i prezzi per toglierci qualche cliente.
La buona notizia è che chi va avanti abbassando i prezzi, è destinato a fallire in tempi record. Solo le grandi multinazionali possono sopravvivere basandosi su un’economia di scala e aiuti di Stato che il piccolo- medio imprenditore non avrà mai, motivo per cui è fondamentale ragionare al contrario: se hai un bar o un ristorante, devi alzare i prezzi! Ovviamente non basta cambiare il listino dall’oggi al domani e aggiungere un 30% in più ai prezzi attuali, c’è un metodo strutturato per aumentare i margini di guadagno senza veder sparire la propria clientela tutta insieme, e di questo ne parliamo io e il mio socio Luca Malizia all’interno del libro “Vincere la Guerra dei Locali”. Noi in primis abbiamo gestito diversi locali in prima persona, fatto consulenze a centinaia di attività e formato molti imprenditori del settore bar, fino a creare una comunità che abbiamo chiamato “BAR WARS” in cui condividiamo le nostre esperienze, il frutto di ciò che continuiamo a studiare ed affinare dopo averlo testato sulle nostre stesse aziende.
Questo libro nasce con l’intenzione di fornire a chi ha un locale in ambito ristorativo (o sta per aprirne uno) le basi indispensabili per passare da una mentalità familiare destinata al fallimento nel medio-lungo periodo, ad una mentalità aziendale basata sulla crescita, sul benessere di dipendenti e clienti, e chiaramente sul profitto, senza il quale è tecnicamente impossibile reggere la baracca, per quanto piccola questa possa essere.
Contreas
Cofondatore di MIXOLOGY Academy, PRO BAR e BAR WARS