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148 decreti attuativi per 266 articoli: il Governo Conte entra nel ‘primato della burocrazia’!

Pubblicato il 09/07/2020 15:03

Al Governo Conte non gli si può negare questo merito, grazie alla sua azione la burocrazia italiana sta conoscendo uno dei momenti di maggiore gloria.

Sergio Rizzo per il giornale la Repubblica ha ‘fatto i conti’ e quello che salta fuori fa rabbrividire il concetto di semplificazione indispensabile nei casi di emergenza come quelli che stiamo vivendo. 

“Nove decreti del presidente del Consiglio dei ministri. Quindici decreti attuativi del ministero dell’Economia di concerto con altri ministeri. Diciotto decreti attuativi del ministero dell’Economia. Quarantuno decreti attuativi di vari ministeri di concerto con il ministero dell’Economia. Sessantacinque decreti attuativi di altri ministeri anche questi in concerto fra loro. Per un totale di centoquarantotto. Dunque non bastano 266 articoli, con un numero sterminato di commi che si stendono lungo 495 pagine. Per mettere in moto quella cosa mostruosa che hanno chiamato decreto Rilancio sono necessari altri 148 provvedimenti”.

L’autore dell’articolo fa notare che il governo ha ‘sfornato tutto questo’ proprio a poco tempo di distanza da quando aveva appena finito di lavorare al decreto “Semplificazione”. Se questo è il concetto di semplificazione che a Palazzo hanno, l’Italia può star fresca. 

“Salva Italia” del governo di Mario Monti, “Sblocca Italia” dell’esecutivo di Matteo Renzi, “Dignità” di impronta grillina, per poi arrivare al “Cura Italia” contiano. Stessa storia, nomi diversi e “roboanti” con “il solo scopo di impressionare l’opinione pubblica, indipendentemente dai risultati”.

Migliaia di commi e rimandi a vecchie leggi e regi decreti che per diventare operativi avrebbero avuto bisogno di 165 decreti attuativi, dei quali ne sono però stati emanati secondo un’analisi di Openpolis, una trentina appena. Il problema gira attorno alla formuletta che funge da premessa e che viene utilizzata troppo spesso, “Salvo intese”. Espressione utilizzata quando “un decreto si deve comunque fare per ragioni di consenso, ma chi lo firma non è d’accordo nemmeno sulle cose essenziali.”

Quando la politica non riesce a mettersi d’accordo ribalta il problema sulla burocrazia che per definizione è il luogo dove si blocca tutto.